martedì 7 gennaio 2014

Breve storia del Risorgimento Italiano


La situazione dell’Italia dopo il congresso di Vienna è quella di un paese smembrato tra vari stati e controllato, direttamente o indirettamente, dall'Austria.
Ma la Restaurazione voluta dai re dell'ancient regime è in realtà fragile e già nel 1820-21 in Italia e in altri stati europei si verificano i primi moti rivoluzionari, sedati però nel sangue dall’ intervento degli stati che si erano stretti nella Santa Alleanza. Solo la Grecia riesce a conquistare una sua indipendenza dall'Impero Turco.
Dopo 10 anni, nel 1830-31, sempre organizzate da movimenti clandestini segreti scoppiano altre rivolte in Italia e in Europa, anche questa volta senza successo, se si eccettuano le trasformazioni politiche in Francia e la riacquistata autonomia del Belgio.
Il 1848 è un anno denso di eventi sia a livello italiano sia a livello europeo.
Per l’Italia, con l’elezione a pontefice di Pio IX sembra iniziata una nuova stagione giacché il papa fa caute aperture nei confronti dei liberali avviando tutto un ricco dibattito tra correnti di pensiero repubblicane e moderate liberali sulle possibilità e le strategie di unificazione d’Italia.
Sia il regno di Napoli sia il Piemonte sia il regno della chiesa concedono delle Costituzioni.
Intanto scoppia una rivoluzione in Francia che infiamma tutti i movimenti di opposizione europei.
Anche Milano si rivolta agli austriaci e il Piemonte corre in suo aiuto portando allo scoppio della prima guerra di indipendenza. Ma gli austriaci, dopo un iniziale sbandamento, reagiscono e sconfiggono i piemontesi. Anche le altre rivolte scoppiate nel regno di Napoli e nel regno della Chiesa, con la repubblica Romana, sono soffocate nel sangue e tutto torna alla situazione precedente se si esclude il fatto che il Piemonte, unico tra gli stati italiani, mantiene in vigore la costituzione concessa prima della guerra: lo statuto albertino.
Intanto le discussioni tra varie correnti politiche indipendentiste italiane si intensifica a causa del fallimento delle guerra e sempre più da qualsiasi partito si guarda al re di Savoia come all’unico in grado di unificare la penisola.
In effetti Vittorio Emanuele II e Cavour attuano una strategia internazionale per consolidare la posizione del Piemonte in Europa con la guerra di Crimea e stringono poi patti di alleanza segreti con Napoleone III, imperatore di Francia che si impegna a sostenere militarmente il Piemonte qualora sia attaccato da potenze straniere. Poco dopo, nel 1859, a causa di reiterate provocazioni piemontesi ai confini con la Lombardia austriaca, l’Austria dichiara guerra all’Italia. Scoppia così la seconda guerra di indipendenza che conquista al Piemonte non solo la Lombardia ma anche l’Emilia e la Toscana che, nel frattempo si sono ribellate ai loro governi e hanno votato l’annessione allo stato sabaudo.
In questo periodo si aprono trattative con Garibaldi, che era stato, insieme a Mazzini, uno dei protagonisti della repubblica romana del 1848, il quale nonostante sia di fede repubblicana, accetta di collaborare con Cavour pur di raggiungere l’obiettivo dell’unificazione d’Italia. Il Piemonte infatti non avrebbe potuto dichiarare direttamente guerra ai Borboni del regno di Napoli senza che questa azione fosse letta, sul piano internazionale, come un’aggressione gratuita che avrebbe avuto ripercussioni sul versante delle alleanze. Invece, con il contributo di Garibaldi e dei Mille la rivolta del sud sembra dimostrare lo spontaneo desiderio di unificazione delle popolazioni meridionali.
Garibaldi in pochi mesi arriva dalla Sicilia a Napoli e tenta di marciare verso Roma. Ma Napoleone III fa sapere che se si tocca Roma lui dichiarerà guerra ai Savoia. Vittorio Emanuele quindi scende col suo esercito a verso sud per fermare Garibaldi. Non passa sul Lazio ma su Abruzzo e Marche che, insieme all’Umbria, subito chiedono l’annessione.
Nel 1861 viene quindi proclamata l’unificazione d’Italia, cui mancano però Lazio, Veneto e Trentino.  
Il Veneto sarà poi preso, nel 1866, nel corso della terza guerra d'indipendenza, cioè il conflitto tra Austria e Prussia, nella quale l’Italia si schiera a fianco della Prussica che vince la guerra.
Per l’annessione del Lazio invece bisognerà aspettare la guerra tra Francia e Prussia nel 1870.
La Francia infatti sarà sconfitta e quindi non avrà la forza di andare in aiuto del papa quando l’esercito italiano marcerà contro Roma e contro quello che restava dello Stato Pontificio, questa volta senza ricorrere ad altro pretesto che quello di dare compimento all'unificazione.
Il Papa non accetterà nessuna trattativa con gli occupatori ma anzi scomunicherà tutti e inviterà i cattolici a non partecipare alla vita politica del nuovo stato.
Nel 1871 Roma diventa quindi la nuova capitale del nuovo stato italiano, al quale manca ormai solo il trentino. Ma per annettere anche quel territorio si dovrà aspettare il massacro della prima guerra mondiale.

Il Canto degli Italiani

Se una figura umana dovesse simboleggiare con l'aspetto d'una seducente giovinezza il Risorgimento d'Italia, che pure ebbe stupendi uomini rappresentativi - Mazzini, Cavour, Garibaldi non si saprebbe quale innalzare e amare meglio che quella di Goffredo Mameli, poeta a quindici anni, guerriero a ventuno, avvolto a ventidue nella morte come nella nuvola luminosa in cui gli antichi favoleggiavano la scomparsa degli eroi. Stirpe di marinai soldati, figlio d'un comandante di nave da guerra e d'una leggiadra donna che aveva fatto palpitare il cuore giovane di Giuseppe Mazzini, Goffredo è il romanticismo, è il patriottismo, è sopra tutto la poesia che fiorisce sull'azione. Frequenta l'università, prepara i suoi esami di diritto e intanto fiammeggia nel fuoco d'italianità de' suoi compagni, che lo sentono un capo. Appena giunta a Genova la notizia delle Cinque Giornate parte alla testa d'un manipolo di giovani, si batte nella campagna del '48; s'agita perché non se ne subiscano con rassegnazione le tristi conseguenze militari, mazziniano puro, con la sua Genova impaziente e intollerante verso la Torino monarchica. E' incerto se correre a Venezia o a Roma. Si risolve per Roma. E' di Mameli il telegramma "Venite, Roma, repubblica" in cui si invitava Mazzini a raggiungere la Repubblica Romana. E' a fianco di Garibaldi, ma vuole prima di tutto trovarsi dove più rischiosamente si combatte. Ferito a una gamba il 3 giugno in un combattimento nel quale s'era voluto gettare a ogni costo, fu male assistito nell'ospedale dai medici che avrebbero dovuto sollecitamente amputargli la parte offesa e invece tanto tardarono che poi l'operazione non valse più a salvarlo, ed egli spirò il 6 luglio, un mese prima di compiere i ventidue anni, recitando versi in delirio. La sua poesia è poesia d'amore e di guerra: pensando a guerre come quelle, i due più alti temi d'ogni poesia, la donna ideale e la libertà pura. I critici, naturalmente, rilevano le imperfezioni artistiche che non mancano. Ma per quel che v'è, ed è tanto, di vivo e di bello in promessa anche più che in fatto si può dire che, se fosse vissuto, l'Italia avrebbe avuto in lui un magnifico poeta. Qui si riproducono, naturalmente, il canto indimenticabile Fratelli d'Italia che fu messo in musica del maestro Novaro e che la Repubblica Italiana d'un secolo dopo ha ripreso come inno nazionale nonostante l'elmo di Scipio e la Vittoria schiava di Roma.

La nascita del Canto degli Italiani

La testimonianza più nota è quella resa, seppure molti anni più tardi, da Carlo Alberto Barrili, patriota e poeta, amico e biografo di Mameli. Siamo a Torino: "Colà, in una sera di mezzo settembre, in casa di Lorenzo Valerio, fior di patriota e scrittore di buon nome, si faceva musica e politica insieme. Infatti, per mandarle d'accordo, si leggevano al pianoforte parecchi inni sbocciati appunto in quell'anno per ogni terra d'Italia, da quello del Meucci, di Roma, musicato dal Magazzari - Del nuovo anno già l'alba primiera - al recentissimo del piemontese Bertoldi - Coll'azzurra coccarda sul petto - musicata dal Rossi. In quel mezzo entra nel salotto un nuovo ospite, Ulisse Borzino, l'egregio pittore che tutti i miei genovesi rammentano. Giungeva egli appunto da Genova; e voltosi al Novaro, con un foglietto che aveva cavato di tasca in quel punto: - To' gli disse; te lo manda Goffredo. - Il Novaro apre il foglietto, legge, si commuove. Gli chiedono tutti cos'è; gli fan ressa d'attorno. - Una cosa stupenda! - esclama il maestro; e legge ad alta voce, e solleva ad entusiasmo tutto il suo uditorio. - Io sentii - mi diceva il Maestro nell'aprile del '75, avendogli io chiesto notizie dell'Inno, per una commemorazione che dovevo tenere del Mameli - io sentii dentro di me qualche cosa di straordinario, che non saprei definire adesso, con tutti i ventisette anni trascorsi. So che piansi, che ero agitato, e non potevo star fermo. Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, sempre cogli occhi all'inno, mettendo giù frasi melodiche, l'un sull'altra, ma lungi le mille miglia dall'idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai scontento di me; mi trattenni ancora un po' in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c'era rimedio, presi congedo e corsi a casa. Là, senza neppure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte. Mi tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d'un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani: nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo e, per conseguenza, anche sul povero foglio; fu questo l'originale dell'inno Fratelli d'Italia."

Versione Originale dell'Inno d'Italia

Fratelli d'Italia, 
L'Italia s'è desta; 
Dell'elmo di Scipio 
S'è cinta la testa.  
Dov'è la Vittoria?  
Le porga la chioma; 
Ché schiava di Roma 
Iddio la creò.

Stringiamci  a coorte!  
Siam pronti alla morte; 
Italia chiamò.


Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
Bandiera, una speme;
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò.

Stringiamci  a coorte!  
Siam pronti alla morte; 
Italia chiamò.


Uniamoci, amiamoci;
L'unione e l'amore
Rivelano ai popoli
Le vie del Signore.  
Giuriamo far libero 
Il suolo natio:
Uniti, per Dio,
Chi vincer ci può?

Stringiamci  a coorte!  
Siam pronti alla morte; 
Italia chiamò.


Dall'Alpe a Sicilia, 
Dovunque è Legnano; 
Ogn'uom di Ferruccio 
Ha il core e la mano; 
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla; 
Il suon d'ogni squilla 
I Vespri suonò.

Stringiamci  a coorte!  
Siam pronti alla morte; 
Italia chiamò.


Son giunchi che piegano 
Le spade vendute;
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia
E il sangue Polacco
Bevé col Cosacco,
Ma il cor le bruciò.

Stringiamci  a coorte!  
Siam pronti alla morte; 
Italia chiamò. 

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Significato della Bandiera Italiana


Il Tricolore

Il tricolore italiano quale bandiera nazionale nasce a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, quando il Parlamento della Repubblica Cispadana, su proposta del deputato Giuseppe Compagnoni, decreta "che si renda universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di Tre Colori Verde, Bianco, e Rosso, e che questi tre Colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti". Ma perché proprio questi tre colori? Nell'Italia del 1796, attraversata dalle vittoriose armate napoleoniche, le numerose repubbliche di ispirazione giacobina che avevano soppiantato gli antichi Stati assoluti adottarono quasi tutte, con varianti di colore, bandiere caratterizzate da tre fasce di uguali dimensioni, chiaramente ispirate al modello francese del 1790.
E anche i reparti militari "italiani", costituiti all'epoca per affiancare l'esercito di Bonaparte, ebbero stendardi che riproponevano la medesima foggia. In particolare, i vessilli reggimentali della Legione Lombarda presentavano, appunto, i colori bianco, rosso e verde, fortemente radicati nel patrimonio collettivo di quella regione:: il bianco e il rosso, infatti, comparivano nell'antichissimo stemma comunale di Milano (croce rossa su campo bianco), mentre verdi erano, fin dal 1782, le uniformi della Guardia civica milanese. Gli stessi colori, poi, furono adottati anche negli stendardi della Legione Italiana, che raccoglieva i soldati delle terre dell'Emilia e della Romagna, e fu probabilmente questo il motivo che spinse la Repubblica Cispadana a confermarli nella propria bandiera. Al centro della fascia bianca, lo stemma della Repubblica, un turcasso contenente quattro frecce, circondato da un serto di alloro e ornato da un trofeo di armi.

L'epoca napoleonica

La prima campagna d'Italia, che Napoleone conduce tra il 1796 e il 1799, sgretola l'antico sistema di Stati in cui era divisa la penisola. Al loro posto sorgono numerose repubbliche giacobine, di chiara impronta democratica: la Repubblica Ligure, la Repubblica Romana, la Repubblica Partenopea, la Repubblica Anconitana.
La maggior parte non sopravvisse alla controffensiva austro-russa del 1799, altre confluirono, dopo la seconda campagna d'Italia, nel Regno Italico, che sarebbe durato fino al 1814. Tuttavia, esse rappresentano la prima espressione di quegli ideali di indipendenza che alimentarono il nostro Risorgimento. E fu proprio in quegli anni che la bandiera venne avvertita non più come segno dinastico o militare, ma come simbolo del popolo, delle libertà conquistate e, dunque, della nazione stessa.

Il Risorgimento

Nei tre decenni che seguirono il Congresso di Vienna, il vessillo tricolore fu soffocato dalla Restaurazione, ma continuò ad essere innalzato, quale emblema di libertà, nei moti del 1831, nelle rivolte mazziniane, nella disperata impresa dei fratelli Bandiera, nelle sollevazioni negli Stati della Chiesa.
Dovunque in Italia, il bianco, il rosso e il verde esprimono una comune speranza, che accende gli entusiasmi e ispira i poeti: "Raccolgaci un'unica bandiera, una speme", scrive, nel 1847, Goffredo Mameli nel suo Canto degli Italiani. E quando si dischiuse la stagione del '48 e della concessione delle Costituzioni, quella bandiera divenne il simbolo di una riscossa ormai nazionale, da Milano a Venezia, da Roma a Palermo. Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto rivolge alle popolazioni del Lombardo Veneto il famoso proclama che annuncia la prima guerra d'indipendenza e che termina con queste parole:"(…) per vie meglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell'unione italiana vogliamo che le Nostre Truppe(…) portino lo Scudo di Savoia sovrapposto alla Bandiera tricolore italiana." Allo stemma dinastico fu aggiunta una bordatura di azzurro, per evitare che la croce e il campo dello scudo si confondessero con il bianco e il rosso delle bande del vessillo.

Dall'unità ai nostri giorni

Il 17 marzo 1861 venne proclamato il Regno d'Italia e la sua bandiera continuò ad essere, per consuetudine, quella della prima guerra d'indipendenza. Ma la mancanza di una apposita legge al riguardo - emanata soltanto per gli stendardi militari - portò alla realizzazione di vessilli di foggia diversa dall'originaria, spesso addirittura arbitrarie. Soltanto nel 1925 si definirono, per legge, i modelli della bandiera nazionale e della bandiera di Stato. Quest'ultima (da usarsi nelle residenze dei sovrani, nelle sedi parlamentari, negli uffici e nelle rappresentanze diplomatiche) avrebbe aggiunto allo stemma la corona reale.
 Dopo la nascita della Repubblica, un decreto legislativo presidenziale del 19 giugno 1946 stabilì la foggia provvisoria della nuova bandiera, confermata dall'Assemblea Costituente nella seduta del 24 marzo 1947 e inserita all'articolo 12 della nostra Carta Costituzionale. E perfino dall'arido linguaggio del verbale possiamo cogliere tutta l'emozione di quel momento. PRESIDENTE [Ruini] - Pongo ai voti la nuova formula proposta dalla Commissione: "La bandiera della repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a bande verticali e di eguali dimensioni". (E' approvata. L'Assemblea e il pubblico delle tribune si levano in piedi. Vivissimi, generali, prolungati applausi.)